
Un caso di Nevralgia del trigemino - Seconda parte - Una sfida per il Fast Reset ![]() “Mia
moglie è risentita perchè le mie malattie le scombinano
l'organizzazione famigliare”. E' risentito anche lui? No, è
inibito. 'La mia inibizione a mostrarmi malato di fronte a lei vuole
evitarmi il suo giudizio, la sua irritazione e il sentirmi non
amato'. E qui raggiunge una nuova consapevolezza: 'La mia paura di
essere anch'io vulnerabile, di avere difetti e compiere errori vuole
che io fugga da questo pensiero, dall'affrontarlo e dal mostrarlo'.
Bravo Fabio, questa si che è onestà intellettuale! Il suo problema,
chiarisce, non è tanto il mostrarsi debole, quanto il mostrarsi
speciale: la madre, per la quale rappresentava il figlio prediletto,
gli ripeteva: “Le cose che fai tu sono speciali”. Mi affretto a
proporgli: 'La mia paura di mostrarmi non speciale vuole evitarmi di
deludere la mamma'.
Passa alcuni giorni senza la minima sintomatologia, poi per due giorni ha uno o due episodi di lievissimo istantaneo fastidio, poi di nuovo completamente libero dai sintomi, tanto che vince la paura e riprende a correre. Ritorna il timore di non essere speciale e di ammettere le sue difficoltà. Confessa che in passato, quattro anni prima dell'insorgenza della trigeminalgia, svolgeva un lavoro di grande responsabilità e si è macchiato di una grave manchevolezza, che ha poi avuto una grossa conseguenza. Trattiamo lo sconcerto e poi il panico per l'accaduto. Ci rivediamo dopo una settimana: nessun episodio di 'avviso' di trigeminalgia. Rassicurato, fa le prove: muove la muscolatura masticatoria per vedere se questo stimola l'insorgenza del dolore, ma non succede nulla. Un giorno ha addirittura dimenticato di assumere il Tegretol nel pomeriggio, e anche in questo caso non è successo nulla, quindi riduce spontaneamente il dosaggio. Supera anche un'ulteriore prova: andare a trovare il padre nel suo luogo di vacanza, cosa che in genere scatena una crisi. Invece vi rimane tre giorni e li vive abbastanza tranquillamente, irritandosi molto meno del solito. La ruggine con il padre riguarda la sua “autocentratura” ed il suo rifiuto di ascoltare qualunque cosa non lo riguardi. Scegliamo di trattare così le sue emozioni: 'La mia rabbia per la sua inadeguatezza genitoriale vuole che io gli esprima il mio senso di inadeguatezza e di sopraffazione e poi lo pianti lì e me ne vada'. Questo smorza l'aggressività di Fabio verso l'anziano genitore e gli permette di vederlo come è ora, un vecchio signore in attesa della fine, ma la compassione viene subito superata dal suo antico bisogno di riconoscimento: ' Voglio che mio padre mi riconosca, mi rispetti e mi apprezzi come figlio e come persona degna di fiducia, e mi protegga e mi sostenga nella mia realizzazione'. Siamo all'inizio di luglio, così ci diamo appuntamento dopo le vacanze. A fine agosto, mi parla di “un agosto fantozziano”, culminato con una “crisi mostruosa” ( sono semre parole sue) proprio due giorni prima del nostro incontro. Peccato, visto che stava bene almeno da luglio. Quattro giorni prima della crisi aveva avuto un piccolo avvertimento, tanto che aveva aumentato la dose del farmaco, ma poi l'aveva subito diminuita nuovamente. Il dolore è stato molto intenso, accompagnato dalla sensazione di “ enorme diminuzione della capacità di reagire” tanto che ha rischiato lo svenimento. Ricorda di aver sopportato meglio crisi più intense ( però siamo in agosto e il gran caldo non aiuta). Ma che cos'era successo per portarlo in questa condizione? A fine luglio un trauma del ginocchio lo aveva costretto ad abbandonare la corsa,cioè il suo sfogo, dopo qualche giorno il padre aveva riportato una frattura del femore, e infine lui ha avuto due giorni di diarrea così intensa da rischiare lo svenimento. “Come se fossi in balìa degli eventi e non riuscissi a reagire come vorrei”. “Ho paura di non farcela e di sentirmi debole ed indifeso”. Gli prescrivo Pulsatilla sulla base di questo suo bisogno di sostegno e intervengo con: ' La mia paura di non farcela vuole che io smetta di combattere', ma la sua rezione non mi convince. Capisco poi che dietro la sua insicurezza c'è uno sconcerto per questa debolezza che non sente sua e lo trattiamo. La seduta termina con una sensazione di sollievo e di maggior padronanza di sé. La settimana seguente ragioniamo sul fatto che le crisi sono sempre accompagnate da paura, una paura che persiste per parecchi giorni, anzi parecchie notti, perchè il più delle volte si verificano di notte, tanto che, sono parole sue, “dorme preoccupato”. Così dedichiamo la seduta ad affrontare la paura ( che in realtà è un'ansia) delle crisi e lo sconcerto per l'ultima, che si è verificata quando ormai non se l'aspettava più. Concludiamo con 'la mia paura ad andare a letto vuole evitarmi una nuova crisi'. Dopo la terza ripetizione mi guarda con aria sicura e dice: “ Stanotte dormo!” Dopo circa 20 giorni ci rivediamo: non ha avuto crisi, si sente più energico e più concentrato su quello che deve fare, e, seppur con un certo timore, sta diminuendo gradatamente il farmaco. Però non è ancora libero dalle ansie : “E' come se avessi catalogato tutte le azioni compiute prima delle crisi come potenzialmente pericolose”, perciò dorme meglio di prima ma è ancora “allertato”. In realtà bisogna lavorare ancora un po' sullo sconcerto per l'ultima crisi, ma stavolta con parole lievemente diverse: 'Il mio sconcerto perchè mi è arrivata una crisi vuole evitarmi l'impatto con una realtà che non mi aspettavo, che non potevo prevedere e che non sono capace di gestire'. Stavolta pare rilassarsi e rasserenarsi completamente, così gli chiedo se provi ancora panico cercando di rivivere una crisi. Risponde: “Non più”. A questo punto è in grado di ragionare sull'utilità di questa brutta esperienza: “Il trigemino mi è servito ad evitare di fare delle cose: non le ho potute fare”. Dopo quasi due mesi ne riparliamo, mi dice che “Il trigemino non si è più fatto sentire”, ma mi chiedo se devo trattargli lo sconcerto per il commento che soggiunge: “ Ma come è possibile che non senta niente?” . E questa incredulità da un lato lascia trasparire l'entità della sofferenza e dall'altro conferma il fatto che ogni sintomo che avvertiamo è il segnale della nostra difficoltà di adattamento ad una situazione.
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